Don Alessio Albertini: Educate uomini e non campioni
Intervista al Consulente Nazionale Ecclesiastico Csi
In occasione della prima lezione del Corso per Allenatori di I° livello abbiamo fatto quattro chiacchiere con il consulente ecclesiastico nazionale Csi, Don Alessio Albertini, che da anni lavora a fianco dei ragazzi con progetti educativi sportivi e ci ha raccontato l’essenza dell’essere allenatori Csi.
Cosa significa essere educatori, oltre che allenatori, Csi?
La nostra missione è quella di formare attraverso lo sport. Certo, non mancano le lezioni teoriche ma cerchiamo di parlare soprattutto attraverso il campo e il gioco visto che l'esperienza sportiva se assimilata e vissuta nel modo migliore offre valori, formazione umana ed esperienze in grado come poche altre cose di far crescere i ragazzi. Ai nostri allenatori chiediamo proprio questo, di saper insegnare bene il loro sport, perché i ragazzo vogliono questo, ma anche di saperlo usare come mezzo e non come fine.
Un fine per diventare per forza una stella?
Esatto, è fondamentale non spingere i ragazzi a vedere il calcio come un modo per diventare un campione milionario. Chi ha talento poi lo diventerà naturalmente ma la cosa primaria per diventare uomini è vivere fino in fondo l'esperienza bella del campo insieme ai propri compagni.
I genitori in questo sono un ostacolano o no?
Tutti all’inizio dicono che l'importante è che il figlio si diverta ma col passare del tempo si fanno prendere. Perché ciò avvenga non lo so, non voglio entrare in certe dinamiche psicologiche perché non è di mia competenza però credo che oltre al sogno mancato del genitore, all'investimento economico sul figlio e all’ergerlo a Principe di casa, la contaminazione della cultura sportiva di oggi giochi un ruolo primario.
In che senso?
Vincere deve essere l'unico obiettivo e un genitore agisce di conseguenza, come un hooligan, portando tensione in un’esperienza che dovrebbe solo essere positiva.
Tu vivi a fianco dei ragazzi da diversi anni, come sono cambiati negli anni e in che modo si è evoluto questo tipo di dinamica?
Certi meccanismi sono sempre esistiti, oggi è solo tutto più amplificato. L’unica differenza è che una volta c’era più gioco spontaneo, bastava scendere in cortile o all'oratorio con un pallone, in più si andava anche a praticare sport nelle società. Oggi questo gioco spontaneo è venuto meno e l'unica attività motoria che fanno i ragazzi è organizzata e non contempla altro modo di divertirsi se non attraverso la vittoria. Anche quando si gioca in cortile lo si fa per vincere perché la competizione fa parte dello sport, ma alla fine vincitori e sconfitti sono tutti amici, e questa è una differenza sostanziale.
A riportare i ragazzi a questa dimensione dovrebbero essere proprio gli allenatori.
Certo, devono essere i primi a indirizzare i ragazzi e a saper prendere provvedimenti con fermezza quando sbagliano.